La fede scettica

di Claudio Bottino

 

 

Come è difficile scrivere.

Come è difficile scrivere di una persona cara.

Come è difficile scrivere in un modo così “modernamente pubblico”.

E’ veramente difficile scrivere e descrivere cose così intime che pare abbiano la forza di scavarti dentro.

E’ difficile toccare argomenti che ci riguardano e che riguardano una persona così speciale, frequentata e conosciuta per un tempo così breve.

Diventa tanto più difficile quando ti rendi conto che è forte ed inarrestabile la spinta di testimoniare, nel tuo piccolo, un’esperienza con Padre Luigi.

C’è comunque, di contro, la consapevolezza di averlo conosciuto molto poco e di avere, sì, un forte ricordo di lui, ma fondato su scampoli di frequentazioni. In sintesi temevo di non esser degno di farlo.

Vogliate quindi tutti scusare il mio ardire e la mia sfacciataggine nel parlare di un vostro “amico”, di una vostra “guida”, di un vostro “fratello”.

La molla che mi ha spinto a scrivere è stata la voglia di testimoniare un  “fatto”, una bella “esperienza”, in sintesi  di testimoniare un po’ d’Amore, poiché credo che di Amore c’è sempre molto bisogno a questo mondo.

Di ciò devo essere grato a due amici di sempre, i due che hanno avuto l’intuizione e le grosse conoscenze informatiche che sono state necessarie per realizzare un progetto così fortemente desiderato e così ambizioso come un sito web: Antonio ed Ida.

Spero solo che con queste mie poche righe riesca a non cadere nella facile retorica e nella stupida ed improduttiva commiserazione, nonché in forme striscianti di auto-celebrazione, poiché è facile, venendo in contatto con una persona magica, unica, carismatica ed un po’ soprannaturale come Padre Luigi,  arrogarsi diritti ed esclusive di vario genere.

Fu infatti la sua disponibilità verso tutti, di ogni credo, cultura, stirpe o ceto, una delle cose che mi affascinò di più in lui.

 

Napoli, fine inverno 1992.

A quei tempi cominciavo la mia gavetta da insegnante e da musicista e mi adoperavo con fervore giovanile a far sì che la mia più grande passione, la Musica, diventasse per me un lavoro stabile, dignitoso, gratificante.

Insegnai tra l’altro in una nota, seria  e gloriosa Accademia Musicale di Napoli: la “Lorenzo Perosi”, dove, grazie ad un collega, mi fu affidato il corso di chitarra.

Questa accademia, ospitata nei locali di un convento, era solo uno dei numerosi tasselli che formavano un’organizzazione lavorativa più grande, che comprendeva molte altre attività.

Tali attività erano accomunate da un unico nobile intento: quello di offrire a giovani volenterosi uno strumento semplice ed efficace che valorizzasse le loro capacità e ne favorisse il loro inserimento nel mondo del lavoro, senza passare per le maglie del clientelismo o della politica.

Indovinate un po’ chi ne fu l’ideatore? chi ne fu il fondatore nonché materialmente l’esecutore?

Padre Luigi Monaco…

Quanta confusione facevo all’inizio a sentir parlare tutti con fraterna confidenza di un loro amico monaco; …no, di Luigi Monaco;….ma no, di un monaco di nome Luigi;…..no! no! no! solo di Luigi … no! no! no! parlavano di padre Luigi Monaco.

…C’era da diventar matti!

Poi, un giorno, lo conobbi, anzi, più precisamente, fu lui che si “presentò” a me con la sincerità che lo caratterizzava e la sua rurale semplicità.

Un uomo vero, sincero, sprezzante dell’altrui critica, sprezzante del pericolo, amante della verità, un inguaribile sognatore, fonte inesauribile di forza, di luce, di speranza, un uomo che sapeva essere allo stesso tempo contadino, scrittore e docente universitario, muratore, filosofo e psicologo, prete, guida ed animatore, e chissà quante altre cose che io non ho potuto scoprire.

Io, che odio le cose complicate ed amo complicare le cose, io che odio la gente falsa ed amo dissociarmi dalla falsità a costo di perdere amicizie convenienti e potenti, io che odio la gente bigotta, ed amo di più un sincero scetticismo, avevo trovato un uomo che compendiava, con semplicità, molte delle caratteristiche che ricerco nell’ ”altro” per iniziare un rapporto di amicizia.

Facemmo di lì a poco solo qualche fugace chiacchierata su argomenti di carattere strettamente tecnico, per lo più inerenti all’andamento dell’accademia, e non mi fu possibile ricavare dall’incontro con l’uomo Luigi altre impressioni o informazioni.

Il mio cuore sentiva però che quell’uomo mi permetteva, attraverso di lui, il contatto con una energia superiore, quella energia che credo ogni persona dotata di sensibilità avverta in alcuni altri, ma che spesso non sappiamo gestire o indirizzare sulla giusta rotta, che è poi quella per approdare ad una sana comunicazione fra gli uomini.

 

Quell’uomo aveva il dono della comunicazione immediata, era dotato di un innato misticismo, di un carisma soprannaturale, di un’aura che lo avvolgeva; ma tutto ciò non sanciva distanze, le cancellava!

Ancora oggi mi chiedo come è possibile che una persona scettica ma sempliciotta come me, uno che nutre non poca sfiducia nel prossimo, uno che ama avere a che fare solo con ciò che capisce e può toccare con mano, uno che è incapace di comprendere le più elementari teorie economiche e di trovare al giorno d’oggi una giustificazione deontologica a professioni come quelle dell’avvocato o del commerciante, ma che tuttavia è capace di sentire a naso l’odore di Ischia, o dell’arrivo delle stagioni o del sopraggiungere di un  temporale; uno che è sconcertato ed avvilito dal tipo di società che negli ultimi trenta, quaranta  anni noi occidentali abbiamo disegnato ed imposto al mondo intero, ma che sa emozionarsi ancora dinanzi ad un semplice tramonto, possa esprimersi in termini che appartengono alla sfera del misticismo, del soprannaturale, della fede, quando questi termini e questi argomenti sono per lui stati sempre fonte di riflessione e rispettoso distacco ed ancora non sono approdati ad un unico, universale, soddisfacente epilogo!

Io non so spiegarlo e forse non mi interessa farlo, ma quell’uomo, con il suo modo semplice di parlare, con la sua forza e sicuramente con lo Spirito Santo che illuminava i suoi passi, aveva fatto breccia nel mio animo e metteva in crisi il mio innato scetticismo, infondendomi vibranti sferzate di positività ad ogni incontro, seppur fugace, con lui.

Per molti mesi non mi capitò di scambiare con lui più di qualche chiacchiera fugace.

 

Capitò che dopo l’estate venni invitato a cenare al suo Convento, quello di Mergellina.

Luigi si fece attendere un po’, trattenuto da uno dei suoi mille e più impegni che, in qualche modo, riusciva a gestire contemporaneamente.

Appena mi vide, si interessò a me e mi tirò da parte in modo molto confidenziale,  amichevole ma energico; cosa per altro poco consueta, vista la nostra scarsa confidenza e conoscenza reciproca.

Mi ricordo che mi disse: “Claudio, facciamoci due chiacchiere se ti va, e poi andiamo di là con gli altri a cenare”.

Accettai incuriosito ed al tempo stesso lusingato da tale interessamento.

Ci sedemmo in una piccola stanzetta al lato dell’ingresso e, forse perché non ero mai stato in un convento francescano, forse perché siamo sempre portati a divinizzare e rendere soprannaturale tutto ciò che si associa alle strutture ecclesiastiche, o forse perché ritrovavo e ritrovo anche oggi, solo nei Cappuccini, quella immagine vera ed autentica che  un servo di Dio dovrebbe avere, avvertii una sensazione strana di pace, di confidenza, di benessere.

Devo ammettere che quello era un periodo tutt’altro che sereno e monotono della mia vita: lo stress dovuto al conseguimento del diploma al Conservatorio ed al conseguente abbandono dell’Università, il trasferimento per un anno e mezzo in un’altra città, i gravissimi problemi di cuore di mio padre, i primi approcci con lavori che non mi piacevano, la difficile scelta di fare il musicista, nonché la fine di un rapporto d’amore durato dieci anni e l’inizio di una storia d’amore importante in un momento sbagliato e tanti altri eventi belli o brutti  che non sto qui a menzionare, pareva si divertissero ad accadermi tutti assieme.

La mia vita mi appariva allora come una nave a pieno carico che durante una tempesta fronteggia onde gigantesche, le quali ne spazzano pericolosamente e continuamente il ponte.

Luigi volle che io gli parlassi di tutto questo, ascoltava particolari, notizie, faceva domande di cui sembrava intuire le risposte, ed io provavo una gioia intensa, forte, liberatoria a confidarmi con lui.

Non provavo in nessun modo a mentirgli, in nessun modo a pilotare gli argomenti affinché potesse uscir fuori un argomento e non un altro, volevo fortemente che Luigi interagisse liberamente con me, con la mia personalità, con la mia sensibilità.

Gli permettevo volutamente di toccare le corde più intime della mia coscienza.

Ero fiero che quell’uomo così importante, così influente, così noto e cercato da tutti dedicasse spontaneamente un’oretta anche a me che non appartengo a nessuna “integralista setta religiosa”, che non sono un buon cattolico, che non ho i canoni “tristi” di un certo “fondamentalismo cattolico” che storicamente ed inevitabilmente allontana tanti giovani dalla fede e dalla partecipazione alla sacralità.

Ero un ragazzo come tanti altri, forse un po’ più scettico, un po’ più testardo, un po’ più confuso, e Luigi Monaco, senza che io lo chiedessi, si interessò a me.

Neanche un amico, neanche un familiare, neanche una donna amata sarebbe stata capace di compenetrarsi così profondamente nelle parole che gli dicevo, nel mio stato d’animo, nella mia coscienza, e tutto ciò avveniva con una semplicità ed una profondità inspiegabili, eteree, confidenziali al punto da sentirsi nudi al cospetto della propria anima; in una parola, avveniva in letizia.

Padre Luigi chiacchierò con me, mi consigliò quel poco che c’era da consigliare, e che oggi tutto sommato saprei io stesso consigliare a me stesso, ma, soprattutto, seppe ascoltare le mie paure, le mie gioie le mie certezze che, attraverso lui, trovarono una giusta collocazione entro il mio animo.

Ciò mi permise di poter osservare, affrontare, analizzare quel mondo interiore che ognuno di noi si porta dentro e che spesso non sappiamo o non vogliamo vedere.

Mi chiese di mio padre, della ragazza vecchia e nuova, delle mie aspettative, del mio lavoro, dell’università, in sintesi di me, del mio universo, delle mie cose più personali,  senza mai essere indiscreto, senza mai dare un giudizio, ma facendomi percepire in modo chiaro e semplice quale fosse il suo modo di vedere le cose e soprattutto aiutandomi a scoprire il mio modo di vederle, scevro da turbamenti e sovrastrutture che poco prima mi impedivano di confrontarmi serenamente con il mio vissuto, con la mia anima, con la mia coscienza.

Vi direte…. tutto qui?!

No, no. Luigi mi fece una semplice domanda: “Da quanti anni non ti confessi?”

Boom!!! Un tuffo al cuore!

Che gli dico ora?

Che figura ci faccio, mi caccerà via a pedate e perderò anche il lavoro.

Ma no, ma no, lui è buono capirà; e poi deve essere buono………per mestiere…..

Io non me la sentii di mentirgli e gli risposi che da quando avevo più o meno dieci anni, in occasione della mia Prima Comunione, non mi ero più confessato.

Eravamo ormai nell’autunno 1993 e avevo ventinove anni…..

Luigi mi guardò negli occhi e mi disse che, se io volevo, quella chiacchierata valeva come una confessione.

Il mio viso, già color cremisi, avvampò come il sole di ferragosto a mezzodì, e credo che la mia espressione sarà stata permeata di uno stupore e di una incredulità tali che Luigi sorrise e mi scosse, continuando a parlarmi: “Cosa vuoi che ti chieda, quelle cose che di solito a voi giovani dà fastidio sentirsi chiedere in confessionale? Credo che se vorrai potremo parlare anche di quelle, ma ci vorrà del tempo: ci conosciamo troppo poco”.

Subito dopo mi chiese: “Tu ci parli con Gesù?”. Io gli risposi: “Sì, continuamente”. Lui con paterna grazia e convincente sicurezza mi rispose : “Continua a parlarGli. Lui sa ascoltare meglio di me!”.

Detto questo, recitò la formula canonica di assoluzione e ci recammo assieme nella cucina del convento, dove consumammo una umile, semplice, squisita cena, discutendo ancora di progetti, futuro, impegno, comunione;  ma…. questa è un’altra storia.

Anche se quella sera avessi mangiato piombo, non avrei sentito nessun peso nel mio stomaco perché tale era la leggerezza della mia anima che nulla e nessuno avrebbe potuto appesantirla di qualcosa.

Era nato un nuovo rapporto fra due persone, era nata una “connessione”, per usare un termine moderno, o meglio ancora nasceva una “comunione”.

C’era in me, dopo quella magica sera, una speranza nuova, più forte, una nuova rotta che mi conduceva fuori dalla palude dello scetticismo.

 

Non vidi per un po’ di tempo Luigi e non ebbi molte opportunità di parlare con lui, a meno di poche battute fugaci; tanto meno riuscii ad effettuare la mia seconda confessione-dialogo.

Avevo tante cose da dirgli, tante cose da sentirgli dire e lui avrebbe saputo tirar fuori da me un po’ di cose che io sento stare ancora in attesa in fondo alla mia anima.

Padre Luigi Monaco il 3 febbraio 1993 morì, ed io non potei più parlare con lui direttamente, anche se mi scopro continuamente ad immaginare cosa lui mi avrebbe detto in questa o quella occasione.

Dopo la morte di Luigi mi confessai altre tre volte e con diversi preti.

Durante l’ultima di queste tre esperienze, invero assai traumatica, decisi che forse era meglio attendere di nuovo una persona speciale come Lui per offrire i propri pensieri più reconditi, le proprie emozioni più intime, le proprie nefandezze e le proprie grandezze al Divino.

Confessarsi per me significa porsi volontariamente al cospetto di un altro essere umano che in quel momento rappresenta a mio parere una sorta di ponte, di vascello, di codice di comunicazione universale prima con la tua stessa anima, e poi con quella divinità che è tanto presente in alcuni quanto apparentemente assente in altri.

Da quel giorno non mi sono più confessato.

Non credo che non mi capiterà più di farlo, ma sicuramente starò ancora più attento alla persona con cui entrerò in comunione, perché tutto dovrà essere magico proprio come allora.

 

Porgo questa testimonianza a disposizione di tutti perché trovino le sinergie necessarie a diffondere i propri “semi di speranza”, come ci ha insegnato Lui.

La ricerca di una guida è, d’altra parte, impresa assai ardua.

E’ la ricerca del  Siddartha che è dentro di noi e che attraverso l’ ”altro” ci si manifesta.

La mia non vuole essere quindi una testimonianza negativa, piagnona e disfattista, ma vuole portare all’attenzione di chi leggerà il mio scritto il concetto che un po’ Padre Luigi dobbiamo esserlo tutti.

Tutti i giorni della nostra vita dobbiamo essere pronti ad offrire con tolleranza, umiltà, discrezione, e, perché no, anche con un sano laico scetticismo, una parola di conforto, un consiglio, e soprattutto un ”ascolto positivo” a chi in qualche modo, in qualche forma ci chiede attenzione, aiuto.

Credo fermamente che in questo senso “non tutto è zizzania”.

Io cerco e cercherò nel mio piccolo, umilmente, di farlo.

 

 

Napoli,17/02/04