C'è
nell'uomo una generosità recondita, inafferabile eppure reale, insostituibile
sebbene sepolta, non raramente sotto una patina
d'orgoglio o sotterrata da false concezioni sulle
virtù umane.
Per quanto l'uomo si sforza di
rinnegare la sua origine divina, finisce sempre con il proclamarne l'esistenza. Negare non è forse affermare? L'uomo cerca
il divino, vive il divino, è anelante al divino. La conoscenza dell'uomo, del
suo spirito e delle sua esigenze, mi ha convinto ancor
più; l'esperienza, nell'ascolto dell'uomo, mi ha detto che l'uomo, nel
profondo, vuole e cerca Dio. Dico di più. Esiste una religiosità invisibile da
fare invidia a quella pubblica, a quella ufficiale, comandata e benedetta.
Si fan sempre più lontani i tempi di un contrasto tra religioso
ed irreligioso, tra sacro e profano, tra uomo vecchio e uomo nuovo. Tuttavia
nell'uomo esiste la lotta tra la luce e le tenebre, il peccato e la grazia;
l'inquietudine tra il male facile ed il bene difficile continua a travagliare
l'uomo; la grazia sostiene ancora e sempre l'uomo nelle sue azioni salvifìche. Eppure si va sviluppando una maggiore
coscienza nei confronti del divino, frutto anche delle molteplici delusioni cui
l'uomo è andato soggetto dopo aver
riposto vanamente le sue speranze nell'uomo, anziché in Dio, tappa necessaria
dell'evoluzione del regno di Dio sulla terra, pietra miliare verso il Cristo
totale, quando finalmente Dio sarà tutto in tutti.
Non più corpo da
una parte e anima dall'altra, non più azioni esclusivamente profane ed atti
esclusivamente salvifici; non più mondo religioso e mondo laico; ma l'uomo
nella sua interezza, nella sua unità globale che cammina verso Dio usando del corpo, del mondo, della
politica, della fatica di tutto ciò che il Creatore ha dato, per meglio
avvicinarsi a Lui: non più manicheismo, ma vangelo, ch'è annunzio di salvezza.
Religiosità
invisibile, cristianesimo anonimo, eppure l'una e l'altro, vivi e pulsanti
nelle nostre città fatte di cemento e di ferro, apparentemente senza cuore,
senza speranze ne ideali.
Penso a
quell'operaio che mi confessava: "Io prego per tutti coloro che abitano il
mio palazzo, non li conosco, ma prego per loro quando scendo i 68 scalini la
mattina..."; poi aggiungeva, quasi pudico: "prego anche per gli amici
di viaggio, nel salire nel bus".
Non aveva tempo,
rincasava molto tardi, stanco, ma il suo camminare era preghiera incessante.
Ricordo l'ascensorista del palazzo b., scalinata a. Ogni viaggio
dell'ascensore, un'Ave alla Madonna. Quanti rosari avrà collezionato in un giorno?
Così quella donna minuta, dal volto emaciato, interrogante,
sofferente da sempre che, alle tre del mattino, andava al mercato: accompagnava
con la sua preghiera talvolta cantata nel silenzio delle strade cittadine, il
lontano salmodiare di monaci austeri e vergini sapienti, intenti, prima del
sorgere del sole, a lodare il Signore.
E lo spazzino che
aveva ripreso a pregare dal giorno che al comune gli avevano "dato' il
posto? E il bidello che tutti i giorni partecipava alla celebrazione
eucaristica, ma fino all'offertorio..., quando arrivava la maestrina che
partecipava fino alla comunione? E i bimbi di migliaia di case che prima di
dormire "mandano" il bacio a Gesù, un bacio tanto lungo che, per
alcuni si staccherà solo nell'istante di morte...?
Una processione
invisibile, ma tanto bella e sopratutto tanto vera da far invidia a quella
delle rogazioni del 25 aprile, festa di S. Marco, quando la comunità parrocchiale, cantando,
invoca tutti i santi per un buono ed abbondante raccolto.
Processione
invisibile, anime oranti, tra il rumore delle strade, il via vai della gente
che corre verso la fabbrica, tra i commercianti che vanno al mercato, tra i
rissosi scioperanti, tra gli ammalati dell'ospedale ed i pescatori che tornano
dopo la faticata nottata.
Siamo abituati a leggere nel volto del fratello che
affianchiamo, la gioia e il dolore, dovremmo anche imparare a distinguere ed
intuire chi sta pregando, anche senza corona, pur non avendo il breviario, pur
non indossando il saio, pur senza candele e senza sacramento: tanto questa fede
rende tutto reale, tutto vicino, tutto proprio e sentito.
Non c'è per questi
un luogo per pregare perché intuiscono che Dio è presente da per tutto; non c'è
un tempo specifico per incontrare il Signore: è il Signore che li attende al
varco, all'angolo della strada, sull'autobus, nello scendere gli scalini, nello
spazzare, nel dissodare la terra; il senso di Dio li ha invasi e sono pregni
della sua presenza. Spontaneismo? Sicuramente amore e fede!
Mi son chiesto:
cosa succederebbe se tutte queste preghiere fossero gridate, cantate,
proclamate come in una pubblica assemblea, come in un giorno di festa?
Lo spettacolo sarebbe da paradiso.
Tutto un popolo che prega, tutti gli uomini che invocano,
lodano, supplicano, benedicono il Signore: ognuno nel proprio linguaggio, nel
proprio atteggiamento, nella sua espressione, nella sua richiesta; e Dio che
ascolta tutti ed ognuno nella propria specifica esigenza; e Dio che non
dimentica nessuno e dìo che
capisce tutti e la gioia di parlare con Lui aumenta in tutti ed il tono si
eleva, incoraggiato e sostenuto dal fratello vicino, dalla sorella che crede; e
i timidi si fanno forza; tutto diventerebbe una lode, una confessione delle
meraviglie del Signore, dei miracoli
invisibili operati; sarebbe un coro crescente, senza uguali, un solo inno dove
la preghiera dei confessori, il coraggio dei martiri, l'arditezza delle
vergini, si distinguerebbe solo dal colore delle voci ma non per l'ardore delle
invocazioni.
Processione
invisibile: speranza seminata tra le strade di asfalto delle nostre città,
fiorita sulle labbra di milioni di cuori che, incessantemente, continuano a
salvarsi ed a salvare con il loro "profano" salmodiare.
Nessuno mai
fermerà questa processione invisibile ed interminabile, anche se un disco rosso
dovesse sorgere fuori le nostre bellissime cattedrali, dove la preghiera è più
facile, perché più fraterna, più specifica.
Io credo in questa
processione interminabile, ma reale che avanza, con sofferenza, ma con passo
sicuro; ci credo, per cui, non raramente, mi metto, silenziosamente, con
massimo rispetto e somma gioia, in fila; magari, all'ultimo posto.