NON TEMERE
e si
sente amato da Lui,
non deve avere paura
neppure
della morte.
«...Voi cercate Gesù, il crocifisso.
Non è qui, è risorto» (Matt.
28, 5-6). Eppure la ricerca era dettata da affetto, da devozione, da ammirazione, da amore. Era una ricerca sofferta; rischiavano, le donne, dopo l'infausta fine del loro Maestro, di
giocarsi la buona fama, la stima e l'onore. Erano andate di buon mattino,
all'alba: per paura o per premura?
E l'angelo le attende: «Non abbiate paura». Tale era la
rivelazione che veniva loro fatta che l'invito a non avere paura, è stato
premuroso, immediato.
Ci capita sempre di rimanere storditi davanti alle meraviglie di Dio che opera in noi e per
noi: il miracolo ha ancora la sua vitalità, la sua forza,
nelle coscienze e fuori; ma la paura è tanta: paura
di accettare il divino nel nostro essere, nel nostro agire!
L'annunzio della risurrezione: «Voi cercate Gesù il crocifisso. Non e qui; è risorto», non può essere accolto da persone paurose, da persone cioè che non accolgono nella fede
l'annuncio quindi sgombrano il proprio
essere da ogni forma di paura. Le paure dell'uomo, impediscono i miracoli a
Dio!
L'angelo vuole, m primo luogo ri-creare l'uomo, nel suo essere,
nella sua unità interiore, in equilibrio con sé ed in comunione con tutti i
fratelli ed il creato; poi, rivelare il senso della risurrezione: il morto è
risorto; la morte è stata sconfitta.
«Non abbiate paura»: soprattutto della morte. E’ la morte la condanna
dell'uomo, la paga al peccato, la disperazione dell'uomo.
Vincere la morte; annullarla; accoglierla come momento
essenziale per la definitiva vittoria: chi è morto non muore più. L'angelo dà
un duplice annuncio: il Crocifisso è risorto; non
dovete avere più paura della morte perché risorgerete. Ecco perché esorta a non
avere paura. E’ più facile credere alla risurrezione di Gesù che alla nostra:
tante sono le morti che continuamente ci aggrediscono, i fallimenti che
raccogliamo, le lacrime che beviamo. Eppure, per
accogliere la risurrezione dello stesso Gesù,
occorre non avere paura di queste morti e di tante realtà presenti nella nostra
umana condizione. Finché non vinciamo tutte le
nostre ansie e non accettiamo tutta la nostra realtà di creature, difficilmente
potremo accogliere il significato profondo della risurrezione. La risurrezione di Gesù infatti è anche la nostra risurrezione: «Iddio che ha risuscitato il Signore Gesù,
risusciterà anche noi per la sua potenza» (I Cor. 6,14; II Cor.; 4,14).
Allora non bisogna avere paura: la risurrezione segna una svolta
— e quale svolta! — nella comprensione dello stesso uomo.
Non più condannato alla terra ma seminato per il cielo; non più
soggetto alla morte, destinato alla vita eterna. E che la vocazione dell'uomo
sia la vita è deducibile dallo stesso Dio
che è il «vivente» (Gios.
3,10), da Gesù che si definisce «vita» (Giov. 14.6), che confessa : «Dio non è un Dio dei
morti, ma dei viventi» (Marc. 12,27), promette la
«vita eterna» a chi mangia il suo corpo e beve il suo sangue (Giov. 6,27-58),
considera la morte non già una sconfitta ma una vittoria (1 Cor. 15,54).
Per non temere la morte, bisogna credere, abbandonarsi cioè a
Dio e lasciarsi amare da lui; significa accogliere l'impossibile nell'umano che
diviene possibile divino: chi crede non è giudicato, la fede è il fondamento
della libertà. Gesù dice a Marta ed a noi: «Io sono la risurrezione e la vita;
chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà
in eterno» (Giov. 11,25-26).
Chi crede nel risorto, in Cristo, opera il passaggio dalla morte
alla vita (Giov. 5,24); chi è battezzato nella sua morte (Rom. 6,10); chi muore
in lui, «conosce» ormai il Padre
ed il Figlio, cioè ha la «vita eterna» (Giov. 17,3): non ha più paura della
morte, può passare indenne attraverso la morte e vivere per sempre (Rom. 8,
11-38), ciò non tanto per i suoi meriti o il suo coraggio, quanto «per colui
che è morto e risorto per lui» (II Cor. 5,15).
Adamo, ogni uomo, dopo il peccato ha paura della presenza di
Dio: « Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo e
mi sono nascosto» (Gen. 3,10). Il peccato rivela sempre la condizione precaria
dell'uomo all'uomo; perciò l'uomo ha paura della propria fragilità, della
propria miseria, dei propri limiti. Si ha paura non tanto di Dio, quanto della
propria limitatezza, del proprio niente. Il peccato che è scelta del relativo
nei confronti dell'assoluto, preferenza della creatura nei confronti del
Creatore, privilegiare il tempo all'eterno: l'uomo a Dio. Perciò nasce la
paura... Meno male che Iddio ci ha nascosto tutta la nostra povertà, coprendoci
con la sua misericordia e nutrendoci al suo amore!
La risurrezione dunque è anche rivelazione dell'uomo all'uomo: è
accettazione di se stessi, premessa essenziale per lasciarsi invadere dal Padre
che risuscita, è accettare il divino nella povertà umana.
Con la risurrezione non solo Gesù è costituito, signore della
vita e della morte, ma anche l'uomo: «se
uno è in Cristo, è creazione novella» (II Cor. 5,17).
La novità della risurrezione è l'intervento di Dio nella storia
dell'uomo che, se affidato a se stesso, si nutre di paura ed è minacciato dalla
morte; se si abbandona, invece, a Dio, è giustificato: «...è risuscitato per la
nostra giustificazione» (Rom. 4,25). «Poiché infatti per mezzo di un uomo
(venne) la morte, anche la risurrezione dei morti (verrà) per mezzo di un uomo.
Come infatti in Adamo tutti muoiono, così anche tutti in Cristo saranno vivificati
(I Cor. 15,21-22).
E pensiamo alla paura di Abramo (Gen. 22, 1-19), al suo tremendo
credere contro ogni realtà, sperare contro ogni speranza, al suo abbandonarsi
«al provvedere» di Dio, in quel territorio di Moira, laddove la sua paura fu
più grande della morte, come, riccamente numerosa fu la sua discendenza, premio
alla sua obbedienza. Il credere non ci libera totalmente dalla paura, ma ci
aiuta a non soccombere, a non disperarci.
Pensiamo alla paura di Maria: «Non temere, perché hai trovato
grazia presso Dio» (Luc. 1,30). Tanta era la luce che l'angelo proiettava nella
normalità della vita di Maria che sente, l'angelo, di esortarla ad avere
coraggio: Ciò che avverrà in te è opera dello Spirito.
Lo Spirito che «abita» in noi (I Cor. 3, 16-17) come in un
tempio (I Cor. 6, 19-20), «prega» in noi
(Rom. 8, 26-27); è lo Spirito che ci da il senso della filiazione divina (Gal.
4,6); è lo «Spirito della vita» (Rom. 8,2) per il quale Dio «vivificherà» i
nostri corpi mortali (Rom. 8,11): è per lo Spirito e nello Spirito che vinciamo
la paura della morte. «In faccia alla morte l'enigma della condizione umana
diventa sommo...(Tuttavia), insegna la fede cristiana che la morte sarà vinta;
quando l'uomo sarà restituito allo stato perduto per il peccato, dall'onnipotenza
e dalla misericordia del Salvatore... Questa vittoria l'ha conquistata il
Cristo risorgendo alla vita, dopo aver liberato l'uomo dalla morte mediante la
sua morte» (GS. 18).
Ci accompagnano altre paure, accanto a questa paura della morte:
quelle di ogni giorno, di ogni decisione, di ogni «prendere o lasciare».
Esistono due vite che si esauriscono in una continua lotta, in una sterile angustia di indecisioni continuamente rimandate. Sono anche le circostanze avverse che rendono sofferto il nostro andare, difficile il nostro sperare, arduo il credere.
Eppure siamo figli della risurrezione, gente per le quali la
morte è stata annullata, vinta. «Non temere, piccolo gregge» «Non cercate cosa
mangerete e berrete, e non state con l'animo in ansia... Il vostro Padre sa ciò
di cui avete bisogno. Cercate il regno di Dio ed il resto vi sarà dato in più»
(Luc. 12,32). «Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?... Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la
nudità, il pericolo, la spada. Ma in tutte queste cose noi siamo più vincitori
che per virtù di colui che ci ha amati» (Rom. 8,31-37).
Chi ama e si sente amato da Dio, non ha paura, neppure della
morte!