1° CORSO ANIMATORI REGIONALE INTEROBBEDENZIALE

 

S.AGNELLO 19-20/11/88

 

 

1a  RELAZIONE

 

 

TEMA: DINAMICA DI GRUPPO 1

 

RELATORE:P. GIORGIO TUFANO

 

 

 

 

Cominciamo con il domandarci: con chi si può fare dinamica di gruppo?

E’ diverso se ci troviamo in un gruppo di gente che attende un pullman: con esso non si può fare dinamica!

Mentre, per un gruppo che si vede con una certa costanza per un motivo preciso, è possibile fare dinamica di gruppo.

Nelle “Fonti” pur no espressamente c’è una dinamica che sprizza da tutte le parti.

La nascita e lo sviluppo di un gruppo o fraternità è vera  e autentica dinamica di gruppo. Il Celano non se ne rendeva conto, ma lui ha posto delle basi eccezionali proprio in questo senso.

La nascita di un gruppo è un’esperienza  eccezionale, forse superiore a  quella della fraternità fisica, perché certamente la fraternità fisica si fa con la verità, la senti come qualcosa di tuo, ma circoscritto  alla mia persona,  alla persona che è nata da qui e magari a tutto l’ambiente in cui viviamo, in cui si sviluppa questa nuova vita.

Invece, il gruppo abbraccia persone di estrazione diversa, di mentalità diversa che sa dare alla nascita di un gruppo e al suo sviluppo una soddisfazione tale che se non si prova non si può descrivere.

Io ho esperienza, ma non sono qui come un esperto, ma come uno che vive  e respira il francescanesimo in ecclesialità.

Dal 758-764 il Celano racconta come nasce questo primo gruppo.

Francesco non è mai stato un ascoltatore sordo del Vangelo, poi cominciò  a predicare la penitenza, cioè aver capito cos’è veramente importante nella vita e  fare di tutto per possederla e raggiungerla.

Ora voi animatori, se vi capita l’esperienza di fare  nascere un gruppo, fatela.

Poi, animate la “ Fraternità giovanile”: tra virgolette, perché non sempre noi comprendiamo il senso del fratello, e perché è più semplicemente un dono di Dio, e per Dio intendo questa ricchezza che noi abbiamo dentro, questo segno che si deve semplicemente rivelare.

Ad un certo punto ci renderemo  conto che è  Dio a  parlarci.

Anche qui le Fonti sono abbastanza ricche ( 2 Cel. 758-763): non ho preso in considerazione altro, perché il campo sarebbe stato immenso.

Si descrive una dinamica che si svolge in Francesco, il quale amava di un amore particolarmente limpido con tutto l’affetto del cuore i frati, come familiari di una fede speciale.

Familiari diventano tali, per un’attitudine dello spirito che non è ancora chiaro, ma che tutti sentivano.

Non c’era un altro motivo di aggregazione.

La familiarità di una stessa fede; ed erano uniti ad una partecipazione  a questa esperienza verso altre eredità.

Scrive il Celano che “lui” era solito incoraggiare come aquila i suoi piccoli in volo: esempio tipico  dell’animatore.

E quando batteva vie difficili, era sempre pronto ad incoraggiare gli altri. Abbiamo detto come sia difficile in fraternità andare d’accordo, quando non tutti la pensano allo stesso modo perché essa è fatta di diversità. Non si tratta di pensarla uguale sugli stessi argomenti, si tratta invece di cogliere i vari aspetti che ognuno offre, e quindi ciascuno può contribuire ad offrire un insieme di casi diversi.

E questo brano va molto bene per la soluzione di questo problema; era pronto ad incoraggiare perché, scriverà poi il Celano:<< si guarda più alle realtà, cioè ai fatti, che alle parole dei superiori>>.

Molto spesso può capitare un Presidente un po’ noioso, o superiori che credono di essere tali perché tutto deve filare bene.

Ma filare bene su che cosa?

Se non si parte dei singoli, non viene mai niente bene: è tutto artificioso.

<<Con i fatti, tu Padre convincevi più suadente>>: è il Celano che si rivolge a Francesco.

E poi si continua sui deboli di spirito.

Perché considerare nei nostri gruppi sempre qualcuno come la “pecora nera”? Prendiamo i  suoi difetti

Perché  mette gli altri a  confronto on certi difetti del gruppo stesso.

Perché non valorizzare anche i limiti?

Loro, i frati, lo facevano. Ed una vera dinamica di gruppo deve assolutamente prendere in considerazione i fattori frenanti di un gruppo. Altrimenti non è un gruppo: è  artificioso;  è inutile pensare ad un gruppo ideale, sarà disincanto dalla realtà.

E poi c’è la domanda che un frate pone a  Francesco: ma secondo qual è il frate ideale, la fraternità ideale?

Non spiega. La fraternità deve  essere questo o quello, ma si riferisce a noi  reali, concreti, quelli che compongono la fraternità (cfr. SPECCHIO DI PERFEZIONE: descrizione del frate ideale). Lui dice ad esempio “ la fede di Bernardo ” può essere esempio una proposta di esempio per un frate ideale. Dunque non parla in astratto, ma di Bernardo, un uomo concreto.

Poi  “la semplicità di Leone”, la “cortesia di “Angelo”….

Non propone quindi un ideale di fraternità, ma una concretezza di persone inserite nella fraternità .

Quindi c’è bisogno della “qualità di tutti”, perché  ognuno l’ ha in sé insieme ai difetti, perché ognuno l’ ha in sé insieme ai difetti, perché quella qualità risalterà ancora meglio tra i suoi limiti.

Se togliamo i difetti, solo la qualità non potrà risaltare. E noi, perché nella dinamica di gruppo o fraternità vogliamo eliminare tutti i  difetti degli altri?

E siamo sempre a pronti a stigmatizzarli e a rimproverarli?  E poi finalmente c’è sempre la pedagogia magnifica conclusiva di Francesco: “Io ho fatto la mia parte, la Vostra ve la insegni Cristo”.

Alla fine dei suoi giorni non fa raccomandazioni, ma da vero educatore ricorda che ognuno è responsabile davanti a Dio. La vera educazione non è elenco di esortazioni o “cose da fare” …

L’educatore deve educare in modi diversi, con la sensibilità, la fantasia, la prontezza a fare questo lavoro.

Ora vediamo come funziona un gruppo.

Noi possiamo dare uno sguardo sincronico sul gruppo, cioè nello stesso tempo in cui il soggetto agisce, contemporaneamente dimenticando che il gruppo cammina; quindi, in realtà, non va visto solo dal punto di vista sincronico, ideale, ma anche da un punto di vista diacronico, attraverso il tempo.

Queste due distinzioni dobbiamo farle. A noi interessa il ‘gruppo che diviene’, che ‘va verso’….

La struttura è il metodo di conduzione del  gruppo.

Struttura è l’incontro individuale con altre persone del gruppo.

Se non c’è appartenenza ad un’entità superindividuale, il gruppo è  chiuso in se stesso. Se invece il gruppo ha anche dei gruppi che rappresentano (come nel nostro caso) l’entità regionale o nazionale, è  aperto. Perché non è  solo un gruppo terapeutico che si incontra e tutto quello che acquisisce è per quel gruppo concreto, ma pensa anche alla dimensione che va oltre il gruppo, superindividuale.

E’ quindi un gruppo in dinamica. Il metodo di conduzione   è  direttivo, quando c’è una  o più leaderships che  danno le norme; non direttivo  è quando dal gruppo devono uscire le  idee, le proposte  e quindi la realizzazione.

Poi c’è il metodo interagibile. Non soltanto il capo, non solo il gruppo, ma generalmente un argomento con cui  si confronta la  persona o  il gruppo. L’argomento viene dato dall’ambiente. Facciamo un esempio. I “verdi” (partito del nostro Parlamento) hanno scelto  un argomento: energia naturale, il sole, il verde. Non è il leadership che comanda, non è  tutto il gruppo, ma c’è l’argomento che porta alla programmazione.

Parliamo ora della “componente affettiva”. Le nostre scelte le facciamo spinti dall’emotività; è vero che spesso c’è la  razionalità  e generalmente noi giustifichiamo  con la ragione le nostre decisioni. E’ verissimo. Ma ciò che muove la realtà è  l’affettività. Un’idea noi la  accogliamo se ci viene presentata da persone simpatiche. Noi siamo  abituati all’accoglienza in generale, ma la persona che viene per la prima volta l’ accogliamo positivamente solo se ci sono delle realtà  simpatiche verso le quali siamo spinti. E’ un po’ la “logica della legge”: cioè noi diamo delle norme a noi stessi, a seconda di ciò che ci è andato bene e di ci è andato male. Un altro dinamismo è la “funzione dell’Animatore”. Egli dovrebbe essere innanzitutto neutrale: non deve avere idee proprie, ma quelle del gruppo.

Dovrà fare in modo pur influenzando il gruppo di dargli l’autoregolazione. In questo l’animatore   è determinante.

La rinuncia a volere, potere, sapere.

Quando uno ha molte capacità e potrebbe influenzare, dovrebbe rinunciare perché il suo compito  fondamentale  è  quello di stimolare il gruppo.

Le tappe del cammino  di gruppo.

Queste tappe non avvengono in un ordine cronologico e  neppure logico: compaiono in varie fasi della vita di gruppo. Spesso quando ci confrontiamo per la prima volta, possiamo anche restare  disorientati: ogni gruppo ha questi momenti perché si arrivi alla maturazione.

A volte, poi, quando siamo un gruppo, facciamo un po’ di resistenza sugli altri quando vogliono sapere cose personali, altre volte invece ci si apre completamente…

Il gruppo molte volte si rifugia nel passato  o si guarda troppo al futuro, e la vita concreta viene valorizzata. Poi ci sono quelli che parlano sempre in negativo, qualunque cosa si stia facendo: ma questa è una tappa obbligata. Poi c’è una prevalenza di sentimenti positivi: ma essa non sempre è  reale. C’è bisogno di un equilibrio.

Parliamo ora dell’accettazione di sé.

Non sempre noi accettiamo noi stessi e spesso anche gli altri. Un’altra tappa della vita di gruppo è  questa: noi smettiamo di difenderci per lavorare ‘anima e  corpo’. Appena le difese sono scomparse, ci dedicheremo completamente alla crescita del gruppo. Retrazione o contrazione: è quel comportamento  che utilizziamo per rispondere a qualcuno che fa delle osservazioni  su di noi e sulle nostre opinioni. Quando c’è una discussione  animata, spesso non si costruisce niente; bisogna creare le condizioni  tali che, anche strillando, non si distrugga il dialogo che c’è.     Quando il lavoro di gruppo è portato  avanti cercando  di far progredire tutti e  ciascuno individualmente, ognuno  si sentirà valorizzato ma  anche più disposto a collaborare perché darà ‘qualcosa di proprio’.

Le difficoltà però non mancano ed i fattori frenanti di solito sono questi:

Questi sono i fattori frenanti della dinamica di gruppo che innescano i meccanismi di  difesa: controllo reciproco, dipendenza da persone, ripetitività  di parole o  situazioni, aggressività, timore di non essere accettati, fuga dagli argomenti.non c’è da meravigliarsi per il verificarsi di queste cose. Nella dinamica di gruppo la “conoscenza reciproca” bisogna sempre favorirla, non solo quella verbale, ma anche quella con i  fatti. Quindi anche una comprensione reciproca, ed una comunicazione continua….

Ed infine gli obiettivi comuni, soltanto dai quali può nascere una progettazione. Ecco, la vita di un gruppo quando te la spieghi in uno sguardo sincronico  è proprio questa.

Sguardo diacronico : non si può parlare solo così ‘dalla cattedra’, ma bisogna viverci ‘in mezzo’ (nel gruppo), dalla nascita  alla morte, dalla dispersione all’aggregazione fisica, dall’aggregazione fisica all’appartenenza, dall’appartenenza alla coesione, dalla realizzazione  del progetto alla crisi.

Non c’è da spaventarsi, perché dalla crisi si va verso  lo sbocco: questo bisogna sempre prevederlo.

Quindi, non scandalizziamoci se qualcuno  ad un certo punto ci dirà anche. La fraternità non mi gratifica, non mi sembra più valida. Di per sé, ha usato un modo sbagliato per dire che ha raggiunto la  maturità sociale tale per cui ha bisogno  di un campo più vasto per potersi realizzare. In questo caso la persona va anche aiutata.

Infine, parliamo di programmazione educativa.

L’obiettivo per ogni gruppo dovrebbe essere quello di portare un giovane al suo inserimento   maturo e  responsabile nella comunità sociale ed ecclesiale. Le risorse in una programmazione educativa sono queste:  gli animatori, che devono avere una flessibilità  di ruolo e  comportamento, una capacità “empatica”. Altre risorse sono varie: campi-scuola, riunioni, necessità locali….

La nota sui criteri di ecclesialità dei gruppi, pubblicata il 22/5/1981, si rifà a  tre criteri, per cui si può dire che il gruppo è  ecclesiale.

Un  gruppo è  ecclesiale quando c’è:

Questi tre criteri ci sono offerti dalla tradizione. Essi valgono per gruppi, movimenti , associazioni (nota CEI, maggio 1981).

Quando poi si tratta dell’animazione di un gruppo giovanile, bisogna tener presente che, per definizione, esso tende  e  non è ancora gruppo. perché altrimenti sarebbe già adulto, non più giovanile, e  quindi con una sensibilità del suo tempo e non del tempo che gli è immediatamente precedente.

Che cosa è il punto di vista teologico? Dare la possibilità a tutti i  ragazzi che incontriamo nell’animare, di rispondere ciascuno all’amore di Dio, che per sua natura è diffusivo, ma che per la logica del ‘seme depositato’ va sviluppato. Inoltre va ricordato che l’appartenenza a un gruppo giovanile dà la possibilità ai ragazzi di fare  esperienza ecclesiale.

Quando il ragazzo è nelle condizioni psicologiche giuste, noi dobbiamo offrire la possibilità di entrare in questo ciclo (le cinque fasi del gruppo) ed è a  questo punto che egli fa esperienza ecclesiale.

Per concludere, ricordiamo  il brano di Isaia 55: “come la pioggia….”

Così come la pioggia, anche la parola di Dio  non tornerà  a  Lui se non dopo aver sfruttato appieno il nostro terreno di accoglienza.

Questa è la speranza di animatori che ci sostiene nella vita di ogni giorno.