2° CORSO ANIMATORI REGIONALE
INTEROBBEDENZIALE
2a RELAZIONE
TEMA: LO STILE FRATERNO
RELATORE:P. Luigi Monaco
La Gi.Fra. una LIBERTA VINCOLANTE o anche UN AMORE VISSUTO.
Questo intervento è rivolto soprattutto agli animatori delle realtà locali; quindi la terminologia usata può risultare nuova per chi si avvicina per la prima volta alla realtà della gioventù francescana .
All’interno di queste realtà, si distinguono alcune tappe, tappe che partono sempre da una visione storica della salvezza e si specificano nella gioventù francescana: la Bibbia, la vita di Francesco, il rapporto con Dio, con se stessi, e con gli altri.
Primo punto: la Gi.Fra. all’interno della storia della salvezza.
Quindi, il primo sforzo che vi chiedo è quello di porci in una dimensione, un terreno, un contesto di fede.
La fraternità, che è una realtà in continuo divenire non è opera degli uomini, ma “opera di Dio”, cioè quell’andare oltre, quel trascendersi che pur partendo dall’umano, dall’affettività, viene superato ed integrato in una dimensione di fede.
Il discorso che andiamo a fare non è dunque contro l’uomo ma è nel contesto di una visione cristiana, francescana dell’uomo, del mondo e quindi della storia.
E’ evidente che il cristiano ha qualcosa da dire su tutto, anzi come dice Paolo, l’uomo materiale capisce solo la materia, ma l’uomo spirituale capisce sia la materia che lo spirito : quindi in questo contesto il giovane francescano deve necessariamente avere una visione, se volete antropologica, per capire chi sono io uomo sotto il profilo di fede e come devo agire sotto il profilo di giovane francescano.
Dovremmo operare una trasposizione tra un terreno (che è la nostra città) e un altro, prendere questa pianta e non portarla sotto in una serra ma in un orto dove il giovane francescano va a porre la sua forza per trasformare questo terreno secondo il cuore di Dio.
Se prescindiamo da questa visione, la Gi.Fra non ha motivo di esistere.
I protagonisti della storia sono due: Dio e l’uomo.
Nella Bibbia Dio crea e l’uomo risponde, come Adamo che risponde con il peccato, la storia gioca proprio su questa realtà sostanziale: Dio e l’uomo e si chiama “storia della salvezza”: questa non è una storia di ieri ma una storia che oggi interpella ognuno di noi.
Può sembrare strano, ma la nostra bontà eleva il mondo, la nostra cattiveria rende più cattivo il mondo.
Non è concepibile l’uomo senza Dio, anche se l’idea di questo dio va purificata ed attualizzata.
L’uomo è amato e deve necessariamente amare.
“da sempre ti ho amato, per sempre tu devi amare” quindi accoglienza, preghiera, conversione.
Se una fraternità sta in continuazione ad interrogarsi sul proprio essere non è una fraternità in crisi ma è ammalata. Noi siamo strumenti nelle mani di Dio, quindi alleanza Dio-uomo.
Perché Dio ha scelto Francesco, Maria, Gesù? Perché Dio ha scelto noi? Perché noi continuiamo questa alleanza? Noi non scegliamo Lui, ma Lui sceglie noi; perciò parliamo di libertà vincolante: Dio non è libero di non essere Dio.
L’uomo è condannato ad essere uomo.
L’alleanza oggi è rivolta ad ognuno di noi e questo comporta: la novità di vita, detta in termini biblici “conversione”, cioè mettere al centro della vita Dio.
Il nostro esame di coscienza non deve essere in rapporto agli altri gruppi, in rapporto agli amici, ma in rapporto a quanto ci dice il VANGELO (Francesco per tre volte apre il Vangelo poi “cambia”)
Nella lettera Gi.Fra 40 parliamo anche del recupero del quotidiano: noi francescani non possiamo vivere soltanto la domenicali rapporto con Dio ma dobbiamo riscoprirlo ogni giorno. Dio non ci ha amato solo di domenica…
La Gi.Fra. è una libertà vincolante per cui oggetto dell’amore propone però l’amore vincolato.
Se la Gi.Fra. viene meno nel tuo ambiente, chi se ne accorge? Quindi, la Gi.Fra. perché esiste? Dobbiamo cercare un mondo secondo il cuore di Dio, come fece Francesco nel Medioevo riproponendo quella dimensione biblica secondo la quale: “gli ultimi saranno i primi”….
Dio non è solo: è uno, è trino. E’ una comunità che vince la solitudine; potremo dire una famiglia: Padre-Figlio-Spirito. Così anche quando nella Genesi si dice: “Dio vide che l’uomo era solo e volle aiutarlo”. La prima fraternità o comunità in comunione è la Trinità; la seconda è la famiglia.
Per questo abbiamo detto che in primo luogo c’è bisogno della risposta personale; finiamola di accusare le strutture. Dunque la fraternità non deve essere vista come l’insieme di tante solitudini quanto piuttosto come l’insieme di persone che costruiscono.
-fraternità, una possibile realizzazione del Regno,
-fraternità se vissuta e sperimentata diventa dono al mondo come’concezione alternativa di vita’.
Dio oggi non ha altri mezzi per arrivare alla coscienza. Da qui anche l’urgenza della missionarietà e del ministero. Non da soli, quindi, ma è urgente riscoprire la propria identità da soli. Gran parte dei nostri problemi derivano dalla non conoscenza di noi stessi, e dal non aver capito quale è il nostro ruolo all’interno della storia della salvezza.
Da questa coscienza personale nasce la fraternità e si vince la solitudine.
Nella fraternità però ognuno resta se stesso, non c’è la pianificazione delle coscienze (unità nella pluriformità): e questa particolarità deve essere sempre difesa dal Consiglio che deve indirizzare i girini verso un unico fine. Una presenza, quella del consiglio, illuminante, nutrita dalla Parola, dalla Preghiera e dalla Carità: presenza che deve essere vista come servizio autentico. La fraternità diventa quindi unità di missione, pluriformità di ministero mediante la “mediazione del Consiglio”.
Cosa fare a questo punto? Noi chi siamo? Singole persone che formano una realtà amata da Dio ma proiettata nel mondo perché a nostra volta possiamo amare Dio.
Perciò parliamo di vocazione. “Di Te ha sete l’anima mia”. La fecondità della fraternità (frati, OFS, Gi.Fra.) passa attraverso la capacità di porsi di fronte a Dio e chiamare Dio nella nostra vita.
Bisogna sviluppare il concetto di appartenenza e sentirsi una grande famiglia. L’interdipendenza e la solidarietà sono alla base di questa famiglia.
Dobbiamo avere, ognuno di noi, una coscienza responsabile verso gli altri. Quindi, non chiudersi entro le quattro mura ma stare insieme a tutti almeno una volta alla settimana per manifestare un’autentica “cultura di presenza”.
Se non stiamo insieme agli altri è facile testimoniare tra noi , e la Gi.Fra. può diventare un alibi: invece dobbiamo provare a dare lo specifico al giovane d’oggi che ha “fame e sete di Dio”. Ogni fraternità dovrebbe delegare qualcuno all’ascolto delle esigenze altrui, perché “cultura di presenza” significa anche sottolineare il senso del distacco che produce gioia e disponibilità e genera il gusto di appartenere alla Gioventù Francescana.
Vi piaccia o no, appartenere alla Gi.Fra. è una libertà vincolante!!!!